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Francesco Filidei: nuova acquisizione, intervista

Francesco Filidei: nuova acquisizione, intervista

Siamo felici di annunciare che dal 2018 le nuove composizioni di Francesco Filidei saranno pubblicate da Casa Ricordi.

Breve biografia

  • Si è diplomato al Conservatorio di Firenze e al Conservatorio Nazionale Superiore di Parigi
  • Come organista e compositore, è stato invitato dai più importanti festival di musica contemporanea
  • E’eseguito da orchestre internazionali, tra le quali la WDR, la SWR, la RSO Wien, la RAI, la Bayerischen Rundfunk
  • Premi (selezione): Salzburg Music Forderpreistrager 2006 / Prix Takefu 2007 / Forderpreistrager Siemens 2009 / Medaglia UNESCO Picasso-Miro del Rostrum of Composers 2011 / Premio Abbiati 2015 / Charles Cros 2016 / Fondation Simone et Cino Del Duca 2018
  • Nel 2016 è stato nominato Chevalier des Arts et des Lettres dal Ministero della Cultura francese
  • Dal 2018 è consulente musicale della fondazione I Teatri di Reggio Emilia



Intervista al compositore


Lei è organista. Quanto questa formazione l’ha influenzata (se davvero lo ha fatto) e in che modo si trasmette nelle sue composizioni.
L’essere organista è stata per secoli una condizione abbastanza comune ai compositori, da Frescobaldi a Bach, da Frank a Messiaen. La storia della musica occidentale è costellata di questi importanti personaggi alcuni fra i quali, come Rameau o Bruckner hanno scritto poco o nulla per il proprio strumento. L’organo ha anche giocato un ruolo non indifferente nella formazione di Beethoven o Chopin, Mozart e Liszt. Passando all’Italia, poi, possiamo probabilmente ringraziare la buona sorte per aver dato a Soragna, Lucca o Oneglia un organista in meno ed al mondo un Verdi, un Puccini ed un Berio in più. Il rischio che finisse in quel modo c’è stato, vuoi per tradizione familiare, vuoi per necessità economiche.
Nessuno di questi compositori ha comunque dimenticato l’esperienza delle tribune, e tracce di essa si ritrovano nei loro lavori abbastanza facilmente. Oltre ai grandi, ai celebri, una schiera infinita di compositori sono riusciti a sbarcare il lunario a suon di messe, matrimoni e funerali: me compreso. Posso riconoscere che l'obbligata frequentazione delle chiese sia stato uno degli elementi che ha contribuito alla nascita del forte aspetto rituale presente nei miei lavori, ed alla nascita di titoli, quali quelli dedicati al buon Giordano Bruno o alla 'Messa dell’Homme Armé', scritta per vere armi da fuoco.
L’organo mi ha inoltre portato a considerare aspetti dell’ascolto in modo inconsueto. Spesso l’organista è infatti come nascosto nel ventre dello strumento ed immerso nel liquido amniotico dei suoni. La meccanica, la catenacciatura, i rumori di questo grande mostro, che ha fatto nido in chiesa, diventano presenti e scricchiolano come ossa anchilosate. Direi anche che l’utilizzo di lunghi pedali (Girolamo Frescobaldi), l’esplorazione di suoni estremamente gravi ed acuti (Messiaen), l’orchestrazione “a terrazze” (César Franck), l’imitazione dei registri di mutazione all’orchestra (Ravel), fanno parte del bagaglio musicale che mi porto dietro grazie ad esso.
L’aver continuato studiare e suonare musica di altri compositori, mi ha permesso infine di mettere non solo la testa ma anche le mani (ed i piedi) nel lavoro di altri in modo concreto.


Il suo catalogo è molto ampio. Ha scritto per ogni genere di formazione musicale, da camera, per ensemble e orchestra. Al 2015, risale il suo primo lavoro di teatro musicale Giordano Bruno. Come mai ha sviluppato questo interesse per il teatro musicale solo negli ultimi anni?
L’interesse per il teatro musicale è stato per me presente direi fino dall’inizio nelle intenzioni. Quel che mancava era l’opportunità di realizzarlo nelle forme più ampie e riconosciute. A volte scontrarsi con mancanza di fondi e restrizioni porta però a trovare soluzioni alternative, ed è stato in uno di questi frangenti che nel 1999, a Pisa, pensai che se non avevo un teatro fuori a disposizione potevo sempre immaginare di costruirne uno dentro me stesso. Nel mio Antinoo si entrava in teatro mettendosi i tappi nelle orecchie, e la partitura era scritta con suoni di saliva, pressione arteriosa e denti battuti. Le luci, essendo fornite da battiti di ciglia e movimenti pupillari rigorosamente controllati, invertivano la normale consuetudine di organizzare i suoni esterni e lasciare liberi quelli interni. Si creava in questo modo una curiosa situazione per la quale la funzione sociale della musica era messa a nudo e si era costretti a ricostruirla in sé stessi moltiplicandosi in interpreti e spettatori. Indubbiamente, anche in questo caso, il rapporto con l’organo ha condotto il mio percorso, oltre che per l’aspetto rituale del lavoro, per quell’inversione di ascolto che indicavo in precedenza.
In tutti i pezzi che ho scritto, poi, è presente un’ambiguità di fondo legata al gesto, che talvolta prende in considerazione l’aspetto performativo. Alla forma operistica più consueta sono arrivato passo dopo passo: da N.N., quasi un oratorio vicino a certo Banchieri, all’Opera(forse), un’opera compressa in pochi minuti con richiami di uccello al posto dei cantanti, all’opera/retablo su Giordano Bruno, per continuare sulle nuove esperienze, ancora più vicine direi alla definizione classica di Opera.


Tra le varie commissioni, per i prossimi anni, ha in progetto due opere. La prima sarà presentata l’anno prossimo a Parigi, all’Opéra Comique. Ce ne vuole parlare brevemente?
Si tratta dell’Inondation, su libretto di Joël Pommerat, ispirata ad un romanzo breve di Evgenij Zamjatin del 1929. Per quest’Opera in due atti ho lavorato più di un anno a stretto contatto con il librettista-regista, avendo a disposizione ogni mese i cantanti necessari. In pratica, ogni mattina ricevevo una scena nuova che ero costretto a elaborare nelle linee essenziali in due giorni, scrivendo rapidamente le voci ed improvvisando l’accompagnamento al pianoforte. Le registrazioni degli Atelier sono servite in seguito a portare a termine la vera e propria composizione.


Cosa intende lei oggi come Opera. Deve avere un collegamento con il passato? Deve trasmettere qualcosa al pubblico?
L’Opera è una forma che ha avuto il suo massimo splendore in altre epoche. Nel suo essere strumento inevitabilmente passato dobbiamo trovare la sua forza. Che senso avrebbe altrimenti in un mondo dominato dal web continuare a ritrovarsi in un teatro all’italiana con un tipo di canto non amplificato che suona necessariamente vecchio? L’idea è quella, quindi, di partire dal quadro dato distruggendolo in un rito che lo possa rinnovare. Per questo Giordano Bruno usa un linguaggio a prima vista tradizionale, ma incastonato in una cornice dodecafonica che a ben guardare funziona come un’istallazione in un museo d’arte contemporanea fatta di quadri antichi. Per questo l’orchestrazione dell’Inondation affoga un canto non lontano dal Pelléas, in un pulviscolo di rumori e fruscii, di accelerando e rallentando, propri a quelli di un vecchio grammofono, spezzettandone la trama. Quando scrivo, che siano opere o meno, lo faccio di getto, cercando di specchiarmi nell’andamento della scrittura; partendo dalla continuità per poi contraddirla e riaffermarla, cercando il miglior modo di trasmettere a me stesso, me stesso. Allo stesso modo direi che l’Opera deve trasmettere il pubblico al pubblico.


Quali sono i suoi progetti?
Se riesco a sopravvivere a queste due opere, vedremo!


 






Foto: Jean Radel

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