Giuseppe Verdi: Otello

Verdi Otello Ricordi

A cura di Alberto Zedda (1976)

Revisione sulle fonti originali | NR 132508

La perfezione [dell’opera] deriva... da quella logica rigorosissima e fatale che svolge tutti gli avvenimenti della tragedia, dal modo col quale sono osservate ed esposte tutte le passioni che vi si agitano e sovra tutte la passione dominante (Boito a Verdi, 18 ottobre 1880).

Ci si può chiedere perché opere vicine a noi come Otello possano ancora serbare tante sorprese a una rilettura critica. È indubbio che a monte di una edizione non senza pecche, quale la partitura dell’opera pubblicata da Ricordi nel 1887, vi sia una responsabilità diretta di Verdi. L’autografo, infatti, non è privo di lacune: per quanto ben curato e ricco di indicazioni interpretative, vi si contano approssimazioni e contraddizioni, specie per quanto attiene al settore dell’articolazione, cioè alle legature e ai fraseggi. Le sviste sono poche e pochi gli errori materiali di note e di accidenti, i coloriti abbondanti anche se non sempre coerenti fra loro. Taluni segni, soprattutto accenti e staccati, sottintendono sovente la necessità di una loro estensione a modelli analoghi.

Si deve capire allora perché il Verdi di Otello fosse così poco sensibile ai dettami della grafia musicale applicati alla partitura d’orchestra; come mai un compositore che aveva saputo percorrere una così lunga strada verso la professionalità e la perfezione di un discorso musicale complesso e raffinato, non avesse saputo scrollarsi di dosso certe frettolosità da ‘anni di galera’ tipiche di chi doveva comporre, strumentare, allestire e dirigere un’opera nel breve volgere di qualche settimana.

La partitura di Otello, per incredibile che possa sembrare, è stata la prima opera di Verdi che ha conosciuto il privilegio di una regolare pubblicazione. Al testo di Otello questa primogenitura non ha certo giovato: né Ricordi né Verdi avevano dimestichezza coi problemi, diversi per ogni autore, che il passaggio del manoscritto alla stampa sempre pone. Ben altrimenti fedeli all’autografo risulteranno altre partiture pubblicate in anni successivi. L’inesperienza è probabilmente responsabile anche dell’incuria di Verdi nel rivedere e correggere la partitura.

Altra ragione va ravvisata nel livello tecnico delle orchestre con le quali il compositore era chiamato a confrontarsi. Salvo pochissime eccezioni quelle che operavano nei teatri lirici italiani erano formate da elementi scadenti, il più delle volte dilettanti dediti ad umili professioni per i quali la milizia nelle orchestre rappresentava l’occasione di un secondo lavoro.

Le fonti della revisione sono costituite:

  • dalla riduzione manoscritta per canto e pianoforte del quarto atto realizzata da Michele Saladino, che consente di ricostruire talune interessanti trasformazioni della celebre “Canzone del salice” e che reca numerose notazioni di pugno di Verdi;
  • da una minuziosa descrizione della regia e della disposizione scenica della prima esecuzione di Otello, curata da Giulio Ricardi, editore dell’opera;
  • da un libretto pubblicato per il battesimo milanese e annotato dallo stesso Giulio Ricordi la sera della ‘prima’ che sottolinea i pezzi di maggior successo e precisa la distribuzione delle chiamate che hanno costellato la serata;
  • dalle lettere inviate a Ricordi tra il 1879 ed il 1897 in cui Verdi parla di Otello;
  • dalla partitura autografa dei Ballabili composti per la ‘prima’ parigina del 1894, cedendo alle consuetudini dell’Opéra;
  • dalla partitura autografa di una seconda stesura del grande concertato del terzo atto riscritto per la medesima occasione e, per quanto si sa, non più rappresentato altrove. Si tratta di un rifacimento completo del Finale Terzo, a partire dal “Largo” di battuta 752 (dal canto di Desdemona “A terra, nel livido fango”) sino al “Fuggite, tutti fuggite Otello” che conclude l’atto con caratteristiche ben diverse da quello noto. Purtroppo le lettere conosciute non illuminano sulla storia di questo pezzo a proposito del quale possiamo soltanto avanzare ipotesi. Verdi, ristrutturando il terzo atto per inserire i ballabili posti subito dopo l’arrivo degli ambasciatori veneti, avrebbe deciso di rivedere anche il successivo concertato. Il nuovo Finale rielabora parte del materiale tematico di quello originale ed è più breve (75 battute invece di 96), più semplice e lineare. Non vi si ritrova l’intrico delle parti vocali, anche corali, che rendono tanto difficile la realizzazione di quello primigenio e le trame di Jago con Otello e con Roderigo si stagliano con maggiore evidenza risultando meglio intellegibili che nella prima stesura. Sovente questo concertato subisce un deplorevole, cospicuo taglio proprio a causa delle difficoltà che pone, taglio che probabilmente venne introdotto sin dalle prime riprese dell’opera. Verdi, conscio che non tutti i teatri sarebbero stati in grado di rispettare l’integrità del concertato e però dispiaciuto per questo taglio che rappresenta oltretutto un grave vulnus nella vicenda (giacché proprio in quelle battute Jago concerta con Otello e Roderigo la soppressione di Cassio), avrebbe provveduto a comporre un brano alternativo più semplice. Poiché nelle rappresentazioni parigine l’Otello venne cantato in lingua francese, la versione originale di questo secondo Finale è tuttora inedita.

Alberto Zedda (1976)