Giuseppe Verdi: La forza del destino

Verdi Edition

A cura di Philipp Gossett e William Holmes (2005)

Tre volumi: due di partitura pp. XCIV, 929 + commento critico
Versione 1862 | NR 139507
Versione 1869 | NR 139263

Verdi scrisse a tutti i suoi amici di aver “completato” la sua opera per San Pietroburgo nel 1861 (sebbene, come sempre, avesse in programma di terminarne l’orchestrazione durante le prove). Quando Emilia La Grua – la primadonna prevista per la parte di Leonora – si ammalò, però, il compositore partì dalla Russia portando con sé la sua partitura a Sant’Agata, nei pressi di Busseto. Lì, durante l’estate del 1862, raffinò la sua opera, apportò alcuni importanti cambiamenti nella sua struttura e ne completò l’orchestrazione. Poi è ripartito per San Pietroburgo. Durante le prove introdusse ancora altre modifiche, spesso per soddisfare le esigenze di cantanti particolari. Quando ci si riferisce alla Forza del destino, versione di San Pietroburgo, si tratta dell’opera eseguita il 10 novembre 1862.

Ma il compositore non aveva certo finito con la sua partitura. Pochi mesi dopo, per una ripresa da lui diretta a Madrid il 21 febbraio 1863, apportò ancora altre modifiche, alcune legate ai nuovi cantanti, altre a particolari fini artistici. Ha trasposto di un tono, ad esempio, la parte finale dell’aria per Don Alvaro che conclude l’atto III; sentiva che solo l’originale Don Alvaro, il tenore Enrico Tamberlick, potesse affrontare la difficile tessitura e cantare adeguatamente il “do” acuto alla fine dell’atto; a Madrid quel “do” divenne un “si bemolle”.

Se da un lato La forza del destino nella versione San Pietroburgo/Madrid è un’opera di grande bellezza e potenza emotiva, dall’altro ha avuto difficoltà a farsi strada nel mondo dell’opera italiana negli anni ’60 dell’Ottocento. Alcune sezioni erano considerate “antiquate” in un ambiente in cui la rivoluzione wagneriana cominciava a farsi sentire, in particolare alcune conclusioni che sembravano rimandare alla vecchia convenzione di “cabaletta” (si pensi alla “Sempre libera” di Violetta o a “Di quella pira” di Manrico), per non parlare della straordinaria aria da tenore con cui Verdi aveva originariamente concluso il terzo atto. Inoltre, la cruda tragedia, in cui tutti e tre i protagonisti muoiono senza speranza né consolazione, non conquistò il cuore degli spettatori, anche se il compositore aveva cercato di far lievitare la tristezza con scene “caratteristiche”, una in una locanda (la “ Scena Osteria”) e una in un campo militare (l’“Accampamento”), e anche con un personaggio francamente comico, Fra Melitone.

Dopo aver contemplato la sua opera per diversi anni, Verdi decise alla fine di rivederla ancora una volta per le rappresentazioni al Teatro alla Scala di Milano di sei anni più tardi, a partire dal 27 febbraio 1869. Eliminò o modificò alcune delle strutture formali, al fine di renderle più “moderne”; aggiunse una meravigliosa Ouverture (al posto dell’originale Preludio, un bel pezzo, ma meno ambizioso); e concluse l’opera col tenore ancora vivo fra la comunità dei monaci e col soprano morente che promette di attenderlo in cielo.

Perché abbiamo bisogno di una nuova edizione de La forza del destino? Tanto per cominciare, la musica del 1861 è del tutto sconosciuta (e comprende alcuni brani veramente belli, che dovrebbero essere a disposizione degli interpreti per occasioni speciali, anche se probabilmente non sarebbe opportuno reinserirli nell’opera). Inoltre, non è mai stata stampata la partitura completa della versione del 1862 e i materiali disponibili sono tutti basati su fonti secondarie. La nuova edizione critica nella maggior parte dei casi ha potuto utilizzare i manoscritti autografi di Verdi, messi a disposizione degli studiosi dagli eredi di Sant’Agata, grazie all’Istituto nazionale di studi verdiani di Parma. Per la versione del 1869, Ricordi pubblicò una partitura orchestrale abbastanza buona dalla fine dell’Ottocento, sebbene il compositore stesso non avesse nulla a che fare con la sua preparazione.

La storia dell’opera, però, è complicata: mettere a posto quella storia e rendere disponibile la musica in tutte le forme di cui Verdi era responsabile è il lavoro dell’edizione critica. La storia editoriale di Forza è complicata quanto la sua genesi. Verdi ebbe relativamente poco a che fare con la stampa della versione del 1862, mentre nel 1869 – quando lavorava a Milano fianco a fianco con i copisti Ricordi – si concentrò esclusivamente sulle modifiche che stava apportando, non sul materiale inalterato. Di conseguenza, molti errori nelle prime edizioni furono riportati nelle stampe successive e continuano a circolare oggi.

Fare un’edizione critica, tuttavia, non è solo questione di copiare sconsideratamente una fonte autografa: richiede un confronto costante di tutto il materiale musicale superstite, tenendo conto delle lettere, delle testimonianze dei contemporanei e di una profonda conoscenza del tessuto sociale dell’opera italiana case. Alla fine del processo, è nostro compito fornire agli artisti di oggi quella che riteniamo essere la migliore colonna sonora possibile dell’opera, il più vicino possibile ai desideri di Verdi. Poi tocca a loro fare musica e teatro.