Giuseppe Verdi: Nabucodonosor

Verdi Edition

A cura di Roger Parker (1987)

Due volumi: partitura pp. LXII, 530 + commento critico
NR 134573
Riduzione canto e pianoforte
CP 134570

A prima vista, Nabucodonosor potrebbe sembrare una delle opere di Verdi meno adatte a trarre vantaggio da un’edizione critica di carattere scientifico. Verdi non vi apportò sostanziali modifiche dopo averla composta e pertanto essa non pone problemi simili a quelli che interessano Don Carlos, Simon Boccanegra o alcuni altri lavori: problemi relativi alla fissazione di un testo fondamentale dell’opera, o alla decisione su quale particolare versione debba essere utilizzata. Nessuna delle revisioni verdiane del Nabucco crea importanti alterazioni al ritmo drammatico; non vi sono nemmeno particolari problemi testuali. Con un’unica eccezione (la nuova romanza di Fenena, che Verdi scrisse per Venezia nel 1842), ogni fonte musicale significativa per il Nabucco si può trovare nella partitura autografa del compositore.

Il disagio nei confronti di una moderna versione critica del Nabucco probabilmente ha cause più profonde. Infatti Nabucco è un’opera che significa più della somma totale dei suoi gesti verbali e musicali, un’opera di potenza elementare, immediata; un’opera il cui successo non viene determinato (o al contrario messo in forse) dall’eleganza di piccoli particolari, ma dalla generale ampia parabola del dramma e della musica; e, ancor più importante, tale successo è stato alimentato e sostenuto da una straordinaria accumulazione di significati extra-musicali.

Le difficoltà incominciano prima che si consideri una sola nota dell’opera. Per stabilire l’autenticità e l’ordine cronologico delle fonti verdiane, possiamo generalmente contare su una buona quantità di testimonianze documentarie. Ma, come tutti sanno, Verdi s’impose per la prima volta all’attenzione generale con il Nabucco; durante la sua composizione egli rimase una figura in ombra, trascurato dall’élite culturale milanese, e in contatto soprattutto con i suoi amici di Busseto. Anche dando per scontata questa situazione, la mancanza di documentazione di prima mano è sorprendente. Questo non è dovuto solo al relativo isolamento di Verdi. Dobbiamo tener presente che egli lavorava disponendo di un libretto in gran parte definitivo (Nabucco era stato scritto in origine per il giovane compositore prussiano Otto Nicolai) e che il suo librettista, Temistocle Solera, era a Milano, a portata di mano, per cui non occorreva alcuno scambio epistolare se fossero stati necessari cambiamenti dell’ultimo minuto. In aggiunta a tutto questo, lo stile di vita di Solera, notoriamente disordinato, ha fatto sì che non sia sopravvissuta alcuna traccia della sua copia di lavoro del libretto. Siamo pertanto costretti, cosa che non avviene per nessuna successiva opera di Verdi, a dover dipendere da testimonianze di seconda mano degli avvenimenti.

In merito alle differenze tra la nuova edizione critica e le precedenti edizioni a stampa della partitura del Nabucco, la più consistente e radicale risiede nelle legature e nei dettagli esecutivi. Verdi, che scriveva per condizioni esecutive nelle quali c’era una perfetta comprensione dello stile contemporaneo, era spesso assai sommario nell’uso di prescrizioni interpretative: egli poteva fidare sulla capacità di interpreti e copisti di dedurre le sue intenzioni dalla musica stessa. In certi casi, per esempio per quanto concerne le indicazioni dinamiche, è generalmente abbastanza facile per i moderni revisori arrivare a una soluzione soddisfacente (anche se l’ascoltatore della nuova edizione critica troverà alcune sorprendenti differenze rispetto alla versione tradizionale). Il caso di legature vocali e strumentali contradditorie è di gran lunga più complesso, poiché in questo caso abbiamo a che fare con un’area nella quale la nostra percezione di quello che è “musicale” può condurci a dare la preferenza a certe legature piuttosto che ad altre. La partitura d’uso Ricordi, che fu preparata subito dopo la Seconda guerra mondiale è in quest’ambito, in modo assolutamente chiaro, un’”interpretazione” piuttosto che un tentativo di afferrare con precisione il significato delle legature verdiane. Le legature strumentali e vocali di Verdi sono infatti sistematicamente allungate e spesso vengono aggiunte nuove legature non presenti nell’autografo. L’effetto implicito è quello di incoraggiare uno stile esecutivo molto più morbido e molto più legato di quello suggerito da Verdi.

Non è necessario avventurarsi in complessità analitiche per giustificare l’importanza di tali momenti, e per difendere la posizione dell’edizione nel mantenere le indicazioni verdiane. La sua giustificazione consiste nella possibilità di vedere (e, si spera, di ascoltare) Nabucco senza il suo presunto mantello di prescrizioni esecutive risalenti al tardo Ottocento e al primo Novecento. L’edizione critica si pone quindi come un lavoro di recupero teso a restituire agli interpreti, agli studiosi e agli ascoltatori la possibilità di giudicare Verdi sulla base del suo più importante lascito. L’edizione critica non tenta di arrestare il processo di reinterpretazione che porta la musica ad adattarsi ai bisogni di ciascuna epoca; cerca solo di dimostrare da dove essa partì: dalle note e dai segni che Verdi scrisse quando compose la sua prima grande opera.