A cura di Alessandro Roccatagliati e Luca Zoppelli (2009)
Due volumi: partitura pp. I-LXXIX, 1-475 + commento critico
NR 138618
Riduzione canto e pianoforte
CP 138621
Come per molte partiture d’opera italiana ottocentesca, l’edizione di Sonnambula usata sino ad oggi è il risultato di numerose manipolazioni effettuate nel corso della tradizione esecutiva, e principalmente verso la fine dell’Ottocento, dunque in uno spirito assai lontano da quello dell’epoca di Bellini: l’edizione critica mira a riproporre il testo belliniano nella sua peculiarità sonora e drammaturgica. Nel caso di Sonnambula le manipolazioni non hanno riguardato tanto la forma (numeri tagliati o aggiunti) quanto la struttura tonale, l’orchestrazione, talvolta il dettaglio melodico.
La partitura che si esegue correntemente presenta ben tre numeri-chiave (cavatina Elvino, Duettino, scena e aria Elvino secondo atto) e una parte del finale primo trasposti in una tonalità diversa rispetto all’autografo: in un caso, il numero è stato spezzato in due tronconi e sottoposto a due diverse trasposzioni, che ne pregiudicano anche la logica tonale interna (lo stesso avviene ovviamente nel finale primo, in cui fu trasposta solo la stretta). Nell’insieme, dunque, circa il 40% dell’opera appare trasposto, talora anche con pesanti riscritture di orchestrazione. Il restauro del testo originale permetterà di riscoprire le intenzioni belliniane quanto alla logica di concatenazione e alla sonorità di questi brani
Naturalmente, alcuni degli interventi di trasporto furono suggeriti dalla difficile tessitura della parte di Elvino, un problema che si presenta anche all’esecutore odierno. Tenendo conto di ciò, i curatori dell’edizione critica hanno comunque attinto a diverse fonti dell’epoca per suggerire, in alcuni casi, dei trasporti meno goffi e più rispettosi del pensiero belliniano e della prassi coeva.
Parzialmente legata alla questione dei trasporti, ma presente anche in altri brani, è la questione dell’orchestrazione. L’originale belliniano è spesso più fine, «cameristico», attento alle suggestioni di ogni timbro, rispetto alla partitura di tradizione, che talora ha introdotto dei raddoppi – in particolare ai legni – o degli spostamenti di registro che alterano il colore sonoro dell’insieme e i rapporti con le voci sul palcoscenico. Questi cambiamenti furono verosimilmente introdotti man mano che Bellini veniva eseguito da cantanti di formazione tardottocentesca, più «drammatica» e «verista», ma lo sforzo odierno di recuperare una corretta vocalità belliniana non può andare disgiunto da un restauro del tessuto orchestrale.
Anche gli abbellimenti vocali, indicati da Bellini con grande ricchezza e in forma peculiare, spesso in forma di proposte alternative, sono stati spesso alterati dalla tradizione: la loro riproposta dovrebbe offrire un interessante campo d’azione ai cantanti odierni. Persino nel dettaglio melodico, comunque, la tradizione ha finito per fissare errori localizzati, ma talvolta decisivi nell’alterare il pensiero belliniano, ad esempio nella seconda frase di «Ah, non credea mirarti». Inoltre l’estrema minuzia con cui Bellini suggerisce i segni di espressione è spesso ignorata dal testo tradizionale, e viene recuperata dall’edizione critica. Il risultato dovrebbe essere quello di una logica musicale più mossa, ricca di contrasti e finezze, meno monumentale e ingessata che nelle esecuzioni correnti.
L’edizione critica suggerisce infine il ripristino di alcuni momenti che vennero probabilmente omessi sin dalle prime esecuzioni a causa della loro difficoltà esecutiva, ma che certamente Bellini considerava come parte integrante della partitura: in particolar modo lo splendido assolo per due “trombe a chiave” nell’introduzione della scena e aria di Elvino, atto II, un passo di enorme importanza drammaturgica e musicale: omettendolo, divengono insensate tutte le numerose citazioni che da esso derivano.