Gioachino Rossini: Adina ossia Il Califfo di Bagdad

Rossini Critical Edition

A cura di Fabrizio Della Seta (2000)

Un volume pp. LIV, 418 + commento critico pp. 106
GR 24
Riduzione canto e pianoforte
CP 138259

L’edizione critica di Adina (1818) costituisce una novità assoluta per quanto riguarda quest’opera di Rossini. L’unica precedente edizione (Firenze, OTOS, 1967) è in realtà un rimaneggiamento della partitura originale, sia a livello di strumentazione, che in vari punti ha subìto arbitrarie aggiunte e alterazioni, che a livello di ordine dei pezzi. La nuova edizione si basa non solo su un approfondito esame dell’autografo rossinano (Pesaro, Fondazione Rossini), ma anche sul vaglio di una serie di fonti secondarie, ciascuna delle quali contribuisce a chiarire aspetti del testo.

I problemi affrontati per preparare l’edizione critica di Adina derivano da due ordini di fattori: lo stato dell’autografo e la storia esecutiva dell’opera.

La partitura ‘autografa’ è stata in realtà redatta da diverse persone, almeno cinque. Dei nove pezzi che costituiscono l’opera, Rossini ne compose ex novo solo quattro (Introduzione, Cavatina Adina, Quartetto, Aria di Adina e Finale), e di uno di questi, la Cavatina Adina, preparò solo la parte fondamentale (la cosiddetta partitura scheletro, costituita dalla parte vocale e dal basso), lasciando a un collaboratore il compito di completare l’orchestrazione. Lo stesso collaboratore è l’autore di altri due pezzi, il Duetto Adina-Califo, il cui originale si trova nell’autografo, e l’Aria Califo. Quest’ultima era stata scritta in origine per una altra opera e con testo diverso; l’originale si trova a Bruxelles, mentre nell’autografo se ne trova una copia, scritta da un copista, col nuovo testo. Altri tre pezzi, un Coro, la Scena e Aria Selimo e l’Aria Alì, furono invece ripresi da una precedente opera di Rossini, Sigismondo (1814), e nell’autografo se ne trova una copia, con le nuove parole. Infine, i recitativi secchi che collegano i pezzi furono composti da due diversi collaboratori.

Mentre l’edizione dei cinque pezzi ‘nuovi’ (uno dei quali del collaboratore) può usare come fonte principale l’autografo pesarese, l’identificazione delle derivazioni degli altri quattro pezzi ha imposto di ricorrere alle partiture originali autografe, di Rossini per quanto riguarda i brani derivati dal Sigismondo, e del collaboratore per quanto riguarda l’Aria Califo. Queste fonti sono state comunque costantemente confrontate con le copie contenute nell’autografo, importanti per la ricostruzione del testo poetico dei brani. A questo proposito si è però rivelato di ancor maggiore importanza un gruppo di fonti prima sconosciuto, appartenente al fondo di Bruxelles: si tratta di copie delle parti vocali relative a due pezzi tratti dal Sigismondo e all’Aria del Collaboratore, nelle quali Rossini aggiunse di propria mano le parole per indicare ai copisti come adattare le nuove parole alle melodie preesistenti. Anche se nel compiere questa operazione Rossini non andò esente da errori o ambiguità, queste fonti, uniche nel loro genere, si sono rivelate di importanza fondamentale per stabilire il testo di brani per i quali non esiste una fonte interamente di mano dell’autore.

I recitativi secchi di Adina presentano una stesura molto approssimativa, che, se seguita alla lettera, rende in molti casi difficile, o addirittura impossibile, una corretta declamazione del testo poetico. Si tratta di un modo di scrivere stenografico, molto comune all’epoca, che lasciava agli interpreti il compito di completare la notazione con la loro interpretazione personale. In tutti questi casi l’edizione critica è intervenuta suggerendo soluzioni alternative a quelle scritte, o addirittura sostituendole con una versione corretta, e riportando la versione originale nel Commento critico.

Una carenza dell’autografo è costituita dalla mancanza di una parte dei timpani nell’Introduzione, parte che Rossini annunciò sulla prima pagina rinviando a uno ‘spartitino’ alla fine del brano, che tuttavia manca qui, come pure nelle fonti secondarie. In questo caso la parte è stata aggiunta dal curatore, naturalmente ben differenziata dal resto della partitura.

Infine, occorre segnalare che l’autografo fu soggetto ad alcune alterazioni per quanto riguarda l’ordine di alcuni brani, in particolare la Cavatina Adina e il Coro, che in origine si susseguivano in quest’ordine, e che ora si trovano in ordine inverso. Un attento esame ha portato a concludere che l’inversione di questi pezzi fu opera del padre di Rossini, Giuseppe, in epoca imprecisata, e che Gioachino non vi ebbe parte. L’edizione ha dunque ripristinato la successione originale, assai più logica dal punto di vista musicale e drammatico.

Composta nel 1818, su incarico di un ignoto committente di Lisbona, Adina fu rappresentata in questa città solo nel 1826, per una sola sera, e questa rimase l’unica rappresentazione fino alla ripresa del 1963 (sembra però che vi fu una ripresa a Rio de Janeiro nel 1828, non ulteriormente documentata). Il testimone principale dell’allestimento lisbonese è il libretto stampato per l’occasione. Esso attesta che l’opera fu rappresentata in forma diversa da quella immaginata da Rossini: fu aggiunto un secondo Coro («Il regio talamo») e fu soppressa l’Aria Alì. Il confronto tra il libretto e le fonti secondarie (copia di Londra e spartito Ricordi, nonché il libretto manoscritto dell’Archivio Ricordi) mostra che queste ultime non derivano direttamente dall’autografo di Pesaro, ma rappresentano un ramo della tradizione proveniente da Lisbona. In particolare, lo spartito Ricordi, che fu a lungo l’unico tramite attraverso cui Adina fu conosciuta, presenta l’opera così come fu rappresentata nel 1826, ed è l’unica fonte che conserva la musica del Coro «Il regio talamo». Pur non appartenendo alla concezione originale dell’opera, e pur non essendo certamente di Rossini, questo Coro è stato riprodotto in Appendice, come testimonianza dell’unica esecuzione storica accertata di Adina.