Francesconi: Herzstück (2012) by Heiner Müller
Scritto per i Neue Vocal Solisten ECLAT 2012 e dedicato a Christine Fisher, Herzstück è un lavoro per ensemble vocale su testo di Heiner Müller, autore da cui Luca Francesconi ha tratto anche il libretto della sua opera Quartett.
per ensemble vocale
‘on the original text by Heiner Müller’
Commissionato da Eclat-Stuttgart for the Neue Vocalsolisten
Dedica: to Christine Fischer – with a special grazie to Hans-Peter Jahn
WP: Stuttgart, Festival Eclat, 11 febbraio 2012 - Neue Vocalsolisten
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Note del compositore
Oggi l’esplorazione dello spazio del testo, vagamente anarchico e surrealista che ha alimentato così tanti pezzi vocali dell’avanguardia storica, non è più sufficiente.
Negli anni ‘60 e ‘70 si fece strada una possibile gioco di decostruzione, alimentato dal serialismo, che cercò di separare i parametri del sistema linguistico per investigare e rigenerare le possibili relazioni fra di essi. Ciò liberò notevole energia creativa, ma molti processi casuali si sono rivelati sterili o hanno creato manierismi.
Potremmo dire allo stesso modo che un uso esclusivo di fonemi o, altrimenti, di un narratore “brechtiano” rappresentano meri escamotages per rifuggire il problema del rapporto fra suono della parola e senso.
Il grande cambiamento odierno, raffrontato ai nostri padri, è che non c’è più una soglia solida di significato che possiamo attraversare e perfino decostruire : un chiaro confine di senso prima o dopo la parola è scomparso.
La multiforme sonorità da cui si generano le parole umane non è più nettamente distinta dal rumore del mondo.
Con “Usura” lo diceva Sanguineti in “Laborintus II” (1965).
Le aspettative negative di quella generazione paiono essersi evolute in modo ancora peggiore.
Perché è la parola stessa che è diventata rumore. Non vi è alcun componente di rumore da isolare e ricontestualizzare analiticamente. La parola stessa è rumore: si è smarrito il senso.
La violenta e crescente saturazione di informazioni che ci sommerge da più di 20 anni, ha devastato ogni ordine di merito, di qualità, ma anche l’attribuzione di un significato condiviso.
Non solo, è completamente svanita ogni possibile sacralità della parola stessa, del suo misterioso legame -come suono- con la risonanza del mondo.
Tutto è uguale a tutto , così pare ora.
Il topos, letteralmente il luogo, l’ambiente sociale dove una parola, un gesto o anche un abito possono condividere un significato comune, si stanno frammentando e moltiplicando in tante piccole nicchie, così atomizzate ed in costante mutazione, che infine stanno diventando individuali : un mondo di riferimenti virtuali che non si possono realmente condividere con nessun altro: non una comunità, ma una massa di singoli.
Possiamo anche sorridere pensando alla fiducia quasi-naif grazie alla quale i nostri padri si sono concessi di giocare con le “etrangement” (straniamenti), (si pensi ad A-Ronne di Berio del 1974), assumendo una cultura comune al pubblico borghese dei concerti. Ma chi può oggi riconoscere una citazione in tedesco del Capitale di Marx, o della Genesi in latino o giocare elegantemente con strane associazioni tra musica e gesto?
Crediamo davvero che un giovane raver può discernere e riassociare stati emotivi che non abbiano un diretto contatto con rabbia e paura? O gustare i rapporti tra la funzione connotativa e quella denotativa di una citazione di un corale di Bach?
L’appiattimento di tutte le qualità è incredibilmente duro, violento e reale.
Ovviamente lo possiamo vedere come un fallimento, come la decadenza totale di una civiltà, chi lo sa?
Forse siamo anche ancorati a molte, troppe, confortevoli certezze.
Anziché rapportarsi ad un archivio di dogmi archeologici, è più accattivante accettare la sfida ed usare un testo. Almeno Berio lo ha fatto. Cercando di trovare una via fra le sue implicazioni semantiche. Questo cortocircuito senza fine prende vita con la musica.
Sono convinto che sia indispensabile un’esplorazione del linguaggio al di là del fonema, dentro le sue matrici semantiche e “sacre”, con l’Uomo in carne ed ossa nel mondo. Perché le stiamo perdendo.
Luca Francesconi
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