Chiunque abbia conosciuto Sylvano Bussotti non potrà che ricordare l’uomo squisito di raffinata cultura, dotato di ironia pungente e sempre pronto alla provocazione profonda e intelligente.
La notizia della sua scomparsa, alla soglia dei 90 anni, non può che rattristarci tutti profondamente.
È impossibile riassumere una storia artistica, che attraversa tutto il secondo Novecento, distinguendo il musicista dal pittore, il poeta dallo sceneggiatore, il regista dal direttore artistico.
Innovatore paradossale, con lo sguardo rivolto al passato e un’irresistibile e rara vocazione teatrale, Bussotti ha lasciato alcune delle pagine più luminose degli ultimi settant’anni: un’eredità umana e artistica ancora tutta da scoprire.
Ci piace ricordarlo con il testo che scrisse in occasione dell’uscita del suo catalogo, pubblicato da Casa Ricordi nel 1993.
Un congedo editoriale
Negli aggiornamenti periodici di un catalogo che l'editore pubblica ve ne sono alcuni,
dettati da ricorrenze o speciali occasioni, che sembrano rivestire un significato
particolare. Come questo. Tanto da far sentire all'autore la necessità d'intromettersi,
chiedendo a chi legge ancora un po' di pazienza.
Se la quantità d'opera o di varianti qui elencate può imporsi con il peso ambizioso, forse
scostante, d'un assieme monumentale, quest'apparenza merita una confutazione. In
anni lontani s'incoraggiava il concetto d'utopia (che un generoso e finissimo musicologo
giustamente riprende introducendo la pubblicazione), spaventati quasi dall'assedio
quotidiano delle idee; ancor più impressionati dal multiforme intreccio delle indispensabili
discipline da dominare per svolgere, quelle medesime idee, almeno in parte. Oggi
l'anagrafe sembra, garbatamente ma con fermezza, costringere a rovesciare il
suggestivo concetto in qualche cosa di assai più semplice; vorremmo poter dire terra
terra. Titoli, sottotitoli, parentesi e virgolette infittiscono l'elenco dando facilmente
all'assieme l'intricato aspetto di un sottobosco; alla maniera dei pittori che spesso di
una stessa immagine replicano numerose varianti, egualmente al musicista riesce
sovente difficile staccarsi da un motivo, per non dire impossibile. Ecco qua quella
proliferazione, spesso mal chiacchierata, nelle opere, d'infiniti risvolti. Utopico, a
questo punto, resta il compito - niente affatto leggero - dell'editoria. E se anche non
volessimo non dare momentaneamente peso alle più o meno recenti semplificazioni
dei metodi a stampa, sconfinanti sempre di più nella portata di mano d'una facilità
insensibile, se non ottusa, ci si arrenderà, guarderà indietro; conteremo tutto ciò che,
rimasto per strada, manifesta impronte provvisorie, nate già sbiadite nel grigio di carte
segnate da fulminea impressione fotostatica; prive del tratto profondo dell'incisore,
nato invece dall'uso paziente di meravigliosi utensili dimenticati.
"La stampa, che non ha calligrafia" ... ci azzardammo a scrivere tempo addietro,
venendo subito rimbeccati da Massimo Mila che rivendicò la profusione inesauribile
dei caratteri a stampa di cui disponevano perfino i quotidiani. Ma una dicitura
particolare verrà spesso, sempre più spesso, posta in calce a partiture o spartiti:
riproduzione del manoscritto dell'autore. Usanza tanto diffusa ormai dal darsi per
scontata; neppure quell'avvertenza si leggerà più, in diversi casi. Si daranno per vinti,
l'Editore assieme al compositore in fronte al mutamento tanto radicale, repentino e
drastico, nei modi della comunicazione? Forse sarà fatale. Si può allora concludere
riconoscendo l'utopia bellamente scavalcata; evitata, con agile noncuranza, come un
ostacolo insignificante alla corsa vertiginosa che accelera ogni labile istante del
pensiero. Tecnica e meccanica sovrane del progresso, inesorabili e cieche incombenze
nel mondo attuale. Il monumento allora? Si avrà l'agio di girarci attorno? Oppure una
visione distante, frontale sarà tutto ciò che merita l'osservazione distratta di frettolosi praticanti? Forse qualche scheggia è caduta già; mettersela in tasca furtivamente
resta da fare, consumando così un feticismo solitario e consolatorio e capace di far
dimenticare ogni addio. La felice allegoria scultorea suona peggio che immodesta. Va
letta come tentativo di spostare l'attenzione su discipline diverse; molte volte
apparentemente più dirette del suono: pittura, letteratura, spettacolo. Tutte sfuggenti
l'edizione musicale in senso proprio e partecipi d'un divertimento materiale spesso
immediato, lontanissimo dall'introversione classica di chi studia, prova e riprova,
l'astratto codice privilegiato del far Musica. Congedando così questo aggiornamento
- accuratissimo ma pur sempre provvisorio, vista l'insistenza quotidiana nel comporre
- l'autore si fa complice una volta di più della pubblicazione come proposta.
Un colmo
di civetteria, dopo un bel po' d'osservazioni di natura critica, sia pure accennate
soltanto, ma che si è sentito il bisogno di esprimere, sembrerà l'uso, in copertina, di un
recente disegno a mo' d'autoritratto. Complice qui è viceversa l'Editore. Immagine
dialetticamente veritiera quanto falsa, tendente a indagare in una momentanea
espressione di se stesso, del significato fisico, quando il tratto sottile dell'inchiostro di
china incapperà nella identica illusione dei diagrammi e dei pentagrammi. Copiando
il vivo dal vero se ne afferra sì e no quanto concesso dall'avarizia congenita dell'istante.
Una importante sequenza d'opera musicali elencata con cura si dissolve, se lo
vogliamo, nella sigla d'accenno di un Foglio d'Album. E sembrerà banale averne voluto
trarre ad ogni costo qualche ragionamento più personale.
Distrarre l'attenzione da
teatri e sale da concerto in favore di gallerie d'arte o estivi anfiteatri per danze o per
commedie sarà puerile sgambetto. La musica, che pienamente vive solo nell'ascolto
concentrato del singolo all'attimo mentre risuona, torna a celarsi in seno all'allegoria.
Rispecchia una Musa, come la chiamavano nell'antichità. Sogna la tradizione orale.
Con gratitudine per la Stampa che si prova pertanto a materializzarne parzialmente il
simulacro.
Sylvano Bussotti, 1993
Immagine: Autoritratto (1993) © Sylvano Bussotti / Pagina musicale estratta da La Passion selon Sade (1965)