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Vacchi: "Madina" in prima alla Scala

La prima assoluta di Madina, la nuova opera-danza di Fabio Vacchi, ha finalmente luogo. Attesa lo scorso anno e fermata dal lockdown, sarà finalmente in scena sul palco del Teatro alla Scala a partire dal 1° ottobre 2021 per cinque rappresentazioni.

Commissionata da Teatro alla Scala e SIAE, scritta su libretto di Emmanuelle de Villepin e basata sul suo romanzo La ragazza che non voleva morire, Madina unisce la voce alla danza. La coreografia è di Mauro Bigonzetti e vede protagonisti l’étoile Roberto Bolle insieme alla prima ballerina Antonella Albano. La direzione musicale è affidata a Michele Gamba.

Fabio Vacchi - Madina (2019)

Teatro-Danza in tre quadri per attore, soprano, tenore, coro misto, corpo di ballo e orchestra
Libretto di Emmanuelle de Villepin tratto dal proprio romanzo La ragazza che non voleva morire
Commissionato da Teatro alla Scala e SIAE

Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala,1 ottobre 2021
Corpo di Ballo, Coro e Orchestra del Teatro alla Scala, étoile ospite Roberto Bolle, coreografia Mauro Bigonzetti, direttore Michele Gamba, voce recitante Fabrizio Falco, scene e luci Carlo Cerri, costumi Maurizio Millenotti

Partitura

 

Estratto dal saggio Madina e l’opera-danza

di Emilio Sala, dal programma di sala del Teatro alla Scala

Madina è la decima opera di Fabio Vacchi. Dico “opera” ma il compositore la ascrive all’ambito del “teatro-danza” e il Teatro alla Scala l’ha programmata nella stagione del balletto. Chi scrive da tempo teorizza l’opera come “neutro plurale” per allargarne, oltre che per rimetterne in discussione, i confini. Quale migliore punto di partenza per affrontare un discorso su questo lavoro coreo-operistico di Vacchi? Se guardiamo a quest’ultimo dall’interno del percorso creativo del compositore, non possiamo non ricollegarlo tra l’altro all’«urban art dance opera» andata in scena al Maggio Musicale Fiorentino nel 2016: Lo specchio magico. Vacchi sembra infatti interessato a ibridare l’opera mettendola in comunicazione con diverse modalità rappresentative/performative/mediali: non solo con la parola recitata (vedi la sua passione per i melologhi), ma anche con la danza. Però è ancora più interessante – credo – guardare Madina dall’esterno, dal punto di vista del panorama coreo-operistico degli ultimi decenni. Tutti gli aficionados ricordano esperienze “epocali” quali l’Orphée et Eurydice di Gluck nella coreografia/messinscena di Pina Bausch o l’Orfeo di Monteverdi in quella di Trisha Brown. Il caso della Bausch è emblematico. Il suo spettacolo risale al 1975, dunque a prima della svolta cruciale del suo Tanztheater. Ma il grande successo internazionale che arrise alla ripresa dell’Orphée pochi anni prima che Pina morisse (2009) ci parla di cosa può (e deve) succedere dopo la stagione del teatro-danza. Così l’incontro tra opera e danza non può non tener conto, oggi, anche dell’esperienza del Tanztheater, ma per superarla. Basti pensare a coreografi come Lucinda Childs, Mark Morris, Wayne McGregor (mi riferisco naturalmente al suo Orpheus and Eurydice gluckiano andato in scena a Londra l’anno scorso). Insomma, dopo le avanguardie e dopo Pina Bausch (ma anche dopo il minimalismo), come può essere riconfigurato il rapporto tra opera e danza?

Come abbiamo già visto, l’opera-danza dei nostri tempi sembra particolarmente ossessionata dal mito di Orfeo. A questo proposito non si può non citare il caso di Passion, musica di Pascal Dusapin, coreografia e regia di Sasha Waltz (un altro nome fondamentale per il nostro discorso). La storia inscenata si rifà infatti a quella di Orfeo e i due ruoli cantati sono integrati nel contesto coreografico in un modo continuo, privo di sbalzi linguistici e anzi pieno di silenzi, sospiri, quasi sfidando un senso di delicata monotonia. Pur partendo da problemi simili, l’operazione di Vacchi è molto diversa. Madina prevede anch’essa due cantanti (soprano e tenore), ma include pure un attore in scena e un coro. La sua costruzione musicale e teatrale consiste in un montaggio di modi drammaturgici giustapposti: brani cantati, danza (sempre accompagnata dall’orchestra), cori, parti recitate, melologhi. Inoltre il soggetto si allontana totalmente dagli “archetipi” mitologici e si rivolge all’attualità più scottante: tratto dal romanzo di Emmanuelle de Villepin, La ragazza che non voleva morire, lo spettacolo mette in scena il tema del terrorismo suicida al femminile. Un tema presente nell’immaginario contemporaneo e molto discusso anche a livello scientifico. Un motivo particolarmente studiato nella sociologia accademica internazionale è proprio il legame tra il profilo delle giovani terroriste disposte al suicidio e la violenza sessuale spesso subita. Lo stupro corrisponde infatti a una pratica diffusa per insinuare nella coscienza delle future combattenti quel sentimento di perdita dell’onore e dei legami familiari che facilita anche l’effetto della propaganda manipolatoria volta a far nascere in loro l’esigenza di un distorto senso di riscatto (su cui fanno leva i loro aguzzini). Manca lo spazio per un confronto tra la fonte letteraria e il libretto, ma una variante non può essere taciuta: mentre nel romanzo sappiamo che Madina è una ragazza cecena, e possiamo dunque localizzare la scena apocalittica in cui è cresciuta e diventata una terrorista, nell’opera di Vacchi essa non viene mai nominata. La musica ci fa immaginare di essere, più che in Cecenia, in Siria o in Palestina (o magari nel Kurdistan, in Iraq, o a Sarajevo durante la guerra nell’ex Jugoslavia, ecc.), ma il testo non ci dice mai dove ci troviamo. Una scelta che da una parte sottintende un desiderio di universalizzazione, dall’altra, però, delocalizzando lo scenario apocalittico, produce anche un effetto ansiogeno perché è come se ci suggerisse che il luogo della catastrofe potrebbe essere un po’ dappertutto.

 

Photo: Roberto Bolle e Antonella Albano / © Marco Brescia & Rudy Amisano - Teatro alla Scala

 

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