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Azio Corghi, in memoriam

Azio Corghi, in memoriam

Casa Ricordi commemora con affetto il compositore Azio Corghi, scomparso lo scorso 17 novembre all’età di 85 anni.

La sua statura artistica e umana, così come la sua generosità di Maestro di molte generazioni di compositori, sono tracce indelebili nel percorso di collaborazione che ha unito Corghi e Casa Ricordi per circa sessant’anni. Ne è fiorito un catalogo di oltre 100 titoli che spaziano in ogni genere, dall’opera al repertorio sinfonico, dal balletto alla musica da camera.

Celebre l’amicizia che lo ha legato allo scrittore portoghese José Saramago (1922-2010), premio Nobel per la letteratura nel 1998, e che nel tempo ha portato alla nascita di lavori per il teatro musicale (Blimunda, Divara, Il dissoluto dissolto) e per voce e orchestra (La morte di Lazzaro, …sotto l’ombra che il bambino solleva, Cruci-verba, De paz e de guerra). Della loro gemellanza artistica ne dà testimonianza anche il volume curato da Graziella Seminara, Lo sguardo obliquo. Il teatro musicale di Corghi e Saramago (LIM/Ricordi, 2015). Nel novembre 2022, il Teatro Nacional de São Carlos di Lisbona, in occasione del centenario della nascita di Saramago, ha allestito una nuova produzione dell’opera Blimunda, basata sul libro Memorial do Convento e andata in scena per la prima volta al Teatro Lirico di Milano nella stagione del Teatro alla Scala nel 1990.

Pubblichiamo di seguito un ritratto di Azio Corghi firmato dal musicologo Raffaele Mellace, incluso nel 2017 nel catalogo Ricordi del compositore.

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Ludus e Pathos di Raffaele Mellace

ll gioco della ragione e l’abisso delle passioni. Non suonerà stravagante, a chi abbia accostato la produzione matura di Azio Corghi, ricondurre il catalogo del compositore piemontese a queste due istanze principali, una sorta di endiadi enigmatica e feconda. Da un lato un filone creativo che risponde alla poetica del divertissement, al gioco arguto e ironico dell’intelligenza: habitus sotto il quale s’intravede, quasi fosse l’ombra della silhouette di Corghi, il sorriso del Pesarese, di quel Rossini che tanto spesso ha incrociato la strada del collega contemporaneo. Dall’altro, a mo’ di “antidoto”, di compensazione verso tanta leggerezza, opera in Corghi un’ispirazione altra, che l’orienta alla pensosa esplorazione del destino storico e individuale dell’essere umano. Gran parte del teatro musicale di Corghi, così come le sue cantate sinfonico-corali, vivono infatti dell’impegno umanistico di contagiare, nelle parole del compositore, una «nostalgia inguaribile della speranza», un «desiderio disperato di vita», complice il valore di scelte letterarie alte, in cui spicca l’affinità di sentire col Premio Nobel José Saramago. Potrà dunque campeggiare a epigrafe d’un catalogo vasto, quasi sintetica formula riassuntiva, il profilo tragicomico d’un Corghi Giano bifronte, versato nell’uno e nell’altro costume, portato di volta in volta a indossare ora l’una ora l’altra maschera (senza che peraltro manchino le occasioni in cui i due registri s’intrecciano: in Amori incrociati o nel Dissoluto assolto, per citare due titoli).

Esteso ormai su mezzo secolo, il catalogo di Azio Corghi ha attraversato stagioni diverse della storia della musica contemporanea mantenendo una rotta originale: una rotta spesso appartata rispetto a quelle dei coetanei, non organica, in grado, forse proprio in virtù di questa collocazione eccentrica, di intercettare e comprendere puntualmente alcune istanze fondamentali dell’esperienza musicale dei nostri giorni. Non sarà un caso se la produzione del compositore, nato a Ciriè il 9 marzo 1937 e formatosi nei Conservatori di Torino e Milano (dov’è allievo di Bruno Bettinelli), pervenga a definire una propria cifra matura e compiuta a trent’anni dalle prime esperienze compositive, verso la data epocale del 1989, attorno alla quale si coagula un gruppo importante di lavori. Già dalla seconda metà degli anni Sessanta in verità – con Intavolature, vincitore nel 1966 del concorso Ricordi-Rai e … in fìeri, del 1968 – i lavori di Corghi avevano richiamato l’interesse internazionale. È tuttavia solo attraverso un percorso lungo un quarto di secolo che va progressivamente ampliandosi la portata degli interessi del compositore, le cui energie sono ancora contese soprattutto dal didatta (in cattedra a Parma,Torino, Milano e Roma) e dal musicologo (cura l’edizione critica dell’Italiana in Algeri di Rossini).

L’accostamento al teatro musicale a metà degli anni Ottanta diventa per Corghi l’evento catalizzatore del nuovo corso, l’atto inaugurale d’una stagione della maturità in cui è sempre più assidua la frequentazione della grande forma, sono significative le commissioni, decisa e irreversibile l’affermazione internazionale. Da quel fatidico 1989, segnato nella vicenda artistica di Corghi dall’incontro con Saramago e dalla commissione della prima opera per il Teatro alla Scala, sono andati costruendosi, progressivamente e con determinazione, i diversi settori – rigogliosi, autonomi, eppure intercomunicanti – d’una produzione multiforme: il teatro musicale, le vaste pagine sinfoniche e sinfonico-vocali, i balletti, la raffinata musica da camera, sia vocale che strumentale. Lavori che rimandano l’uno all’altro per ispirazione ideale, per l’approfondimento di taluni filoni tematici, per la condivisione del materiale musicale.

Attraverso il proprio catalogo Corghi affronta con decisione alcune apparenti antinomie del fare musica oggi, a cominciare dalla più ingombrante, quella dialettica impegno/comunicazione, che sottopone a un aggiornamento significativo: superato il dogma che sancisce un’alternativa radicale tra il messaggio politico-sociale della creazione artistica e la sua fruibilità da parte di un pubblico non engagé, vengono guadagnati a una valenza comunicativa ricca di significato alcuni atteggiamenti che l’intelligencija musicale giudicava alla stregua di divertissement inautentico e dunque non artistico. L’atto del comporre trova la sua ragion d’essere, il proprio valore politico, proprio nella capacità di trasmettere un messaggio, di mettersi efficacemente in relazione con l’uomo contemporaneo che si mette in ascolto.

La produzione della maturità di Corghi è caratterizzata da alcune scelte stilistiche che si rivelano strumenti essenziali nel battere i due sentieri cari al compositore. Strumento imprescindibile è innanzitutto la raffinata ricerca timbrica, a un tempo piacere del suono e della sua performance, ma anche mezzo per indugiare sulla soglia tra realtà sensibile e immaginazione, complice la preferenza accordata alle sonorità stranite e antinaturalistiche dello Sprechgesang o dell’ottetto vocale madrigalistico. Con felice paradosso, la cura per la voce del singolo strumento, tradotta in rapporti con i singoli interpreti, si sposa in Corghi in una disponibilità assoluta alla trascrizione, al ripensamento d’un pezzo preesistente per tutt’altro organico, alla migrazione da uno strumento a un altro, dall’oboe alla viola, dalla viola al violoncello, al trio d’archi. Centrale è la frequentazione degli archetipi della cultura popolare, col ricorso frequente e sorgivo a materiale del patrimonio folklorico e a sonorità tipiche di quest’ultimo, dal coro popolare alla fisarmonica. Infine – ed è forse l’elemento più evidente e apparentemente sconcertante – ineludibile nel catalogo di Corghi è la rivisitazione della tradizione musicale, secondo modalità che imitano la nostra ricezione corrente della musica del passato. Si tratta d’un gioco postmoderno con la tradizione, alla ricerca, nelle parole dello stesso Corghi, «di un linguaggio musicale “radicato”», così che la memoria sonora possa fungere da reagente essenziale in discorsi della più patente attualità. Non di trascrizione “innocente” si tratterà mai: la citazione è piuttosto calata in un contesto linguistico ironicamente straniato, in un milieu compositivo moderno, come inevitabilmente postmoderno è il nostro approccio di ascoltatori alla musica del passato.

Nel rapporto tanto tenace e vitale con la memoria sonora andrà còlta la natura più autentica dell’ispirazione di Corghi: l’esigenza psicologica di formulare la propria creatività in termini dialogici, esigenza che si sviluppa in una vera e propria poetica del dialogo. Una poetica che si nutre dell’ascolto di altre voci – quelle di poeti e musicisti, ma anche la voce anonima della tradizione popolare, così come voci strumentali e ritmi di danza – con cui il compositore intrattiene una conversazione partecipe: le interroga, ne indaga le ragioni, crea cortocircuiti di senso tra il loro e il proprio tempo, il loro e il proprio pensiero; perché, come recita la conclusione delle Note introduttive alla partitura di Cruci-Verba, «partendo dall’idea di creare provocatorie interferenze spesso si scoprono umane confluenze». Dagli anni Novanta del Novecento questo dialogo si è continuamente arricchito di interlocutori illustri, taluni occasionali, ma più spesso ospiti ricorrenti d’una conversazione permanente: tra i musicisti, in primis Rossini, Verdi e Liszt, ma anche Monteverdi, Bach, Handel, Vivaldi, Banchieri, Donizetti, Spontini.

Se in questi casi il dialogo si realizza nella carne viva della scrittura, nell’intreccio sul pentagramma dei segni grafici antichi e moderni, nella contaminazione tra gesti musicali, non meno feconda è la relazione con la parola e con la poesia, dalle cui risonanze nasce molta della musica di Corghi. Certo, svolgono un ruolo importante il mito antico, Rabelais, Boccaccio, ma soprattutto è la voce dei moderni, al di qua del Romanticismo, a contare: Daudet e Čechov; Ungaretti e Quasimodo; la Yourcenar e Pasolini; l’interlocutore maggiore, José Saramago, cui Corghi è stato legato da un sodalizio ventennale che ha fruttato una trilogia operistica e una serie importante di lavori sinfonico-vocali; Maddalena Mazzocut-Mis, l’altra interlocutrice con cui il dialogo è stato diretto e “in presenza”, autrice dei testi e delle drammaturgie corghiane di quest’ultimo decennio. Non di rado il dialogo si trasforma in una triangolazione in cui la lettura di Corghi coinvolge simultaneamente il mondo sonoro d’un collega del passato e la parola d’un autore contemporaneo, intrecciando Liszt a Saramago, Bach e Verdi a Pasolini, Verdi a Bertolucci e Quasimodo.

Il peso della parola nell’universo creativo di Corghi va di pari passo con lo spazio conquistato dallo strumento principe della matura drammaturgia corghiana: la voce recitante, che negli anni è andata colorandosi delle nuance prestatele di volta in volta dai timbri e dai temperamenti diversissimi di interpreti, femminili perlopiù, di prima sfera. Per questa via il dialogo tra musica e parola acquista un’evidenza assoluta che la candida a quel compito civile che il compositore concepisce come imprescindibile dell’atto creativo, mettendola in grado di accompagnare e scandire la memoria degli eventi chiave della storia del Paese (l’Unità, la Grande Guerra, la Liberazione). Comporre è per Corghi un gesto politico, testimonianza senza ambiguità davanti all’altro, atto di responsabilità etica che lega il musicista agli uomini e alle donne del suo tempo. Parte integrante di tale responsabilità è la trasparenza del linguaggio, che, pur nell’irriducibile ambiguità del simbolo, dovrà raggiungere l’ascoltatore e offrirgli una chiave di lettura intellegibile della realtà.

Raffaele Mellace

photo: © Casa Ricordi/Roberto Masotti

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