L'Opéra de Lyon mette in scena una nuova produzione dell’opera 7 minuti di Giorgio Battistelli. Composta nel 2018 su commissione dell’Opéra National de Lorraine e andata in scena a Nancy nel febbraio 2019, l’opera si basa su una pièce teatrale di Stefano Massini, che ha preso spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto in Francia.
Il soggetto
Una vecchia e gloriosa azienda tessile viene comprata da una multinazionale. Sembra che non si preparino licenziamenti, operaie e impiegate possono tirare un sospiro di sollievo. C’è però una piccola clausola nell'accordo che la nuova proprietà vuole far firmare al Consiglio di fabbrica. Chiuse in una stanza a discutere, undici donne devono decidere se accettare la riduzione di sette minuti della pausa pranzo. Sette minuti sembrano pochi e la delegata del Consiglio di fabbrica all'inizio è la sola ad avere dei dubbi. Ma a poco a poco il dibattito si accende e ognuna delle donne ripercorre pubblicamente la propria vita prima di arrivare al voto.
Intervista al compositore
Cosa significa lavorare nuovamente a quest’opera, sette anni dopo? Sono stati necessari cambiamenti, e quali sono gli aspetti che oggi senti risuonare di più di questo lavoro?
Per il mio modo di pensare la scrittura, c’è sempre un doppio volto, un doppio percorso, e in particolar modo in occasione di una ripresa di un’opera. Da una parte, c’è il confronto con la tecnica compositiva, che negli anni può cambiare, può evolversi, può essere ripensata perché è in continua trasformazione, e in questo a me piace non toccare ciò che è stato fatto, e semmai applicare gli aspetti di cambiamento nell’opera nuova e non in quelle già scritte. Dall’altra, il canale che riguarda la tematica: ci sono opere che invecchiano dopo pochi anni a causa del soggetto che è stato scelto, non le sentiamo più aderenti alla realtà che viviamo nel presente, mentre altre restano fortemente attuali, come nel caso di 7 minuti, un’opera che tocca un tema ancora molto vivo, ossia quello del rapporto che ogni persona ha con il proprio lavoro e come il lavoro si relazioni a sua volta con l’esistenza e la dignità delle persone. E’ un’opera che vuole far riflettere, pone delle domande.
All’interno dell’accelerazione dei tempi in cui viviamo, come si muove il teatro musicale e cosa significa oggi mettere in scena un’opera di questo tipo, che porta in scena un soggetto fortemente legato al presente in cui viviamo?
Ho sempre pensato che l’opera, che ritengo una delle più grandi invenzioni dell’umanità, per la sua forma, per la sua natura eterogenea che mette insieme elementi differenti in un’unità di struttura, di perimetro espressivo, possa essere uno specchio di ciò che accade nel nostro mondo. L’opera non può essere solamente un elemento confortante, di intrattenimento, ma deve farsi strumento di riflessione. Queste riflessioni possono essere di ordine etico, morale, ma anche tecnico, compositivo. I compositori si sono sempre divisi su come permutare la materia musicale, e al tempo stesso toccare tematiche con un contenuto etico e morale che diano un senso alla presenza del compositore nella società.
Per tanti anni si è rimasti affascinati, suggestionati, incantati dall’abilità tecnica di realizzazione dell’opera, e il soggetto era solamente un elemento aggiunto, un’indicazione semantica ma non un elemento portante. Questo è un cambio che riguarda la cultura in generale: quando abbiamo iniziato ad essere attenzionati sui numeri del pubblico e sulla comunicazione, il desiderio di voler comunicare per allargare il bacino di affluenza ha fatto sì che l’opera si dovesse confrontare con altri circuiti (incluso il cinema, con il quale il rapporto è ovviamente impari). Il corteggiamento del pubblico ha portato a modificare la tecnica compositiva, a renderla più seduttiva, e anche a scegliere delle tematiche che colgono un immaginario più diretto, con soggetti politici attuali (guerre, malattie, ecc.), oppure che indagano il rapporto con il cinema, o con la grande letteratura. Quando scegli ad esempio un testo cinematografico (e lo dico avendo scritto opere tratte da film famosi), al suo interno è necessario rintracciare degli elementi drammaturgici che possano essere sviluppati nel teatro musicale. Non tutti i libri, e non tutti i film possono essere tradotti in opera, la sceneggiatura deve contenere un punctum drammaturgico che possa essere adattato alla forma dell’opera. Ci sono romanzi che nascono nella parola scritta e lì vivono, ed è impossibile trasportarli su un piano di rappresentazione di teatro musicale, che richiede delle componenti sue particolari e uniche.
La sceneggiatura sta al romanzo come una seduta di psicanalisi: nel film si fa la sintesi del percorso narrativo di un grande romanzo, e i tempi che si hanno nella lettura sono diversi da quelli che di una lettura cinematografica o operistica. Ogni passaggio subisce una perdita, ma al tempo stesso acquisisce altri elementi. Se scegli di utilizzare solamente il titolo di un testo, di un film, di una poesia, senza elaborarne il contenuto, ne deriva un elemento di comunicazione più che un elemento drammaturgico, e questa è una forma di consumo, che può essere molto efficace nell’immediato, ma che difficilmente permette all’opera, nel nostro caso, di restare.
Come sono stati scelti e resi in partitura i diversi linguaggi musicali delle undici donne in scena?
Su questo ho lavorato con Stefano Massini, e già nel suo testo originale era molto chiaro il carattere psicologico di queste donne. Ognuna ha una problematica, un’esistenza, un’età, una necessità diversa. E’ uno specchio del nostro mondo lavorativo. La forte omogeneità di registro vocale (dieci soprani e un contralto) mi serviva per creare un senso di collettività, di gruppo – le donne in scena sono undici ma potevano essere duecento, rappresentano l’insieme delle operaie che lavorano in questo lanificio venduto ad una multinazionale americana. C’è un registro vocale unitario con piccole sfumature per dare il senso della collettività, ma all’interno di questo ogni voce ha un suo carattere, che ho cercato di descrivere attraverso il tipo di articolazione, di fraseggio: la giovane più spigolosa, attenta e nervosa presenta una scrittura ritmica più incisiva; quella più dolce ha un fraseggio più allargato; c’è la ragazza ansiosa, la più introversa quindi con un canto più sommerso, un’altra più incerta. I caratteri sono sempre sottolineati da una differenziazione di fraseggio. Il risultato finale è un affresco di voci omogeneo, undici voci di donne che si intrecciano e parlano tra di loro: le ascoltiamo insieme parlare tra di loro delle loro condizioni, dei loro problemi, così se ci allontaniamo sembrano un’unica voce, un affresco in cui perdi i contorni di ogni voce, ma avvicinandoti cogli l’anima di ognuna di loro.
Ci sono poi tre interventi di coro molto brevi che rappresentano le loro famiglie. Ogni donna pensa a cosa dirà a casa, ognuna di loro è in ansia perché teme il licenziamento, e il coro rappresenta le voci dei parenti che stanno fuori, le chiamano, e sono in attesa di avere notizie, come nelle immagini delle manifestazioni fuori dai cancelli delle fabbriche, con la folla in attesa delle delegazioni sindacali.
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Photo: Giorgio Battistelli (c) Lorenzo Montanelli