La collana dedicata alla musica teatrale di Antonio Vivaldi, pubblicata da Casa Ricordi in collaborazione con l'Istituto Italiano Antonio Vivaldi della Fondazione Giorgio Cini di Venezia e diretta da Reinhard Strohm e Alessandro Borin, si arricchisce da oggi di un nuovo titolo: Il Teuzzone (RV 736).
Ne abbiamo parlato con Alessandro Borin e Antonio Moccia, curatori dell’edizione critica, che ci hanno raccontato le particolarità di quest’opera, tra curiosità editoriali e qualche aneddoto.
Reinhard Strohm ha definito Il Teuzzone «fiore all’occhiello della cosiddetta riforma arcadica dell’opera seria italiana». Esiste una cifra identificativa di questo lavoro vivaldiano?
Il Teuzzone è un perfetto esempio del tipo di opera in musica che Vivaldi aveva messo a punto sullo scorcio della seconda decade del Settecento. Nel 1719 aveva da poco scelto di abbandonare Venezia e i suoi teatri per accettare un impiego di tutto rispetto presso la corte mantovana del principe Filippo D’Assia. Per impressionare il suo nuovo patrono, Vivaldi scelse di esordire con un ‘pasticcio’, vale a dire un’opera con musiche proprie e altrui, che riproponeva – spesso in una veste musicale rinnovata – alcune fra le sue arie più riuscite e apprezzate. La cifra distintiva del Teuzzone vivaldiano è dunque il tentativo, felicemente riuscito, di offrire al pubblico mantovano un compendio di tutta la prima fase della sua carriera di compositore per il teatro d’opera, alla vigilia di un cambiamento epocale nella storia dell’opera italiana della prima metà del Settecento. Di lì a poco, infatti, i teatri della Serenissima saranno ‘colonizzati’ dalla diaspora dei compositori napoletani verso il nord della penisola, che costringerà Vivaldi e molti altri suoi colleghi nostrani ad aggiornare il proprio linguaggio musicale o a cercare miglior fortuna in piazze e teatri secondari.
Entrando nel vivo del lavoro editoriale, qual è l’aspetto che più ha influenzato l’impostazione di questa edizione critica e quali potrebbero essere le sfide per la messinscena?
Il metodo di lavoro utilizzato nella restituzione critica di un testo musicale del passato dovrebbe essere sempre suggerito, e in una certa misura predeterminato, dalla particolare natura dell’oggetto che si intende indagare. Il Teuzzone vivaldiano deriva da un precedente allestimento del dramma di Apostolo Zeno, messo in scena tre anni prima a Torino, con musiche di due maestri legati alla corte del duca di Savoia (Andrea Fioré e Girolamo Casanova). Nei testi a corredo dell’edizione si tenta, perciò, di ricostruire le varie stesure della partitura, di identificare gli apporti genuinamente vivaldiani rispetto a quelli altrui, di ricostruire il manoscritto (perduto) di cui presumibilmente egli si servì. Questo tipo di lavoro fornisce senza dubbio delle informazioni preziose per chi si accinge a riproporre Il Teuzzone a un pubblico moderno. Non tanto con l’intenzione di riprodurre pedissequamente tutte le scelte di Vivaldi, ma per cogliere piuttosto il significato più profondo del suo metodo di lavoro, improntato a un pragmatismo a cui era aliena l’idea moderna di originalità o di repertorio, e in cui ogni decisione aveva lo scopo di ottenere un successo immediato in quel particolare ambiente e con quelle precise risorse (vocali, strumentali, sceniche) a disposizione.
E invece un aspetto curioso e magari inaspettato con cui vi siete confrontati?
Lo spoglio delle fonti archivistiche avvenuto durante la preparazione dell’edizione critica delle due opere ‘mantovane’ di Vivaldi, Il Teuzzone e Tito Manlio, ha portato alla luce una serie di documenti inediti che ci hanno permesso di scoprire molti aspetti curiosi o poco noti della prassi operistica dell’epoca. Fra i più interessanti, meritano una segnalazione quelli scoperti da Stefano L’Occaso nell’Archivio della Soprintendenza alle Belle arti, in cui si menziona la spedizione di centinaia di specchi, ampolle e vetri commissionati dal compositore ai maestri vetrai dell’isola veneziana di Murano. Questi manufatti servirono per allestire una sala costituita interamente di specchi, illuminata dalla luce naturale delle torce e delle candele, che può offrire solo una pallida idea dello splendore e dell’originalità che caratterizzavano la messinscena di un’opera in musica nel primo Settecento.
La musica alla fine deve essere eseguita e ascoltata per prendere vita. In attesa di ascoltare il risultato di questa edizione, quali sono le arie più interessanti su cui avete lavorato?
Dal momento che Il Teuzzone è un florilegio di arie, è difficile scegliere l’uno o l’altro brano. Vale però la pena menzionare almeno «Ti sento, sì ti sento», perché è uno dei cavalli di battaglia vivaldiani, che la ripropose in svariate produzioni operistiche lungo tutto l’arco della sua carriera; la splendida aria di furore «Si ribelle anderò, morirò», tratta dall’Orlando finto pazzo del 1714, l’opera dell’esordio veneziano di Vivaldi, e infine l’aria di bravura «Son fra scogli e fra procelle», per il trattamento orchestrale che ricrea l’immagine impetuosa del mare in burrasca, che Vivaldi immortalò in molti suoi capolavori strumentali.
Prossimi titoli della collana in lavorazione?
Il cantiere editoriale è in gran fermento! Dalla Verità in cimento al Bajazet; dalle due stesure superstiti del Farnace all’Atenaide: i rispettivi curatori stanno lavorando con passione ed entusiasmo per dare alla luce le prime edizioni moderne di questi titoli. Noi due insieme abbiamo cominciato a lavorare all’Olimpiade, uno fra i più noti e apprezzati libretti di Metastasio: Vivaldi fu il secondo compositore ad intonarlo e Pergolesi il terzo. Davvero un bel match!