No results

Falla, Manuel de

(23 Novembre 1876  - 14 Novembre 1946)

Manuel de Falla nacque a Cadice il 23 novembre 1876 in una famiglia benestante, il padre era un commerciante, viene avviato agli studi musicali dalla madre. La vita musicale di una cittadina di provincia come Cadice, seppur famosa per la celebre Musica instrumentale sopra le 7 ultime parole del nostro Redentore in croce appositamente scritta da Haydn per la sua cattedrale nel 1785, non poteva offrire molto ad un giovane come Manuel che aveva manifestato una grande predisposizione e un grande interesse per la musica. Nel 1897 allorché la famiglia si trasferisce a Madrid può frequentare regolarmente il Conservatorio, qui nel 1901 conosce Felipe Pedrell cui rimarrà legato sempre da profonda amicizia e stima. Se rileggiamo il catalogo delle composizioni giovanili accanto alle caratteristiche pièces de salon, ispirate a Mendelssohn o a Grieg, troviamo alcune zarzuelas, fortunato genere teatrale spagnolo, unico possibile sbocco professionale per un giovane musicista di talento nella Madrid inizio secolo. Dopo aver vinto nel 1905 il concorso di composizione indetto dalla “Academia de Bellas Artes” con l'opera La vida breve su libretto di Carlos Fernández Shaw, quando l'opera non viene rappresentata nonostante il premio ne prevedesse l'esecuzione, Falla decide di lasciare Madrid recandosi in una delle grandi capitali culturali europee: Parigi.

I sette anni trascorsi nella capitale francese (1907-1914) rivestono nella formazione e nella carriera di Falla un'importanza fondamentale. È qui che giunge a maturazione il suo linguaggio compositivo; è a contatto con Debussy, Dukas, Ravel, Viñes e con gli altri musicisti dell'emigrazione spagnola Albéniz e Turina, che Falla, pur tra molte difficoltà finanziarie, crea i suoi primi grandi capolavori. Porta a termine la revisione de La vida breve che verrà rappresentata con successo a Nizza nell'aprile 1913 e all'Opéra-Comique di Parigi nel gennaio 1914; completa i Cuatro piezas españolas per pianoforte, iniziati a Madrid ed eseguiti da Ricardo Viñes in un concerto della Société Nationale de Musique; scrive le Trois mélodies su testi di Gautier e le Siete canciones populares españolas per canto e pianoforte; inizia pure la composizione di Noches en los jardines de España per pianoforte e orchestra, chiaramente debitrice nei confronti del colore orchestrale debussiano. Ma a Parigi, oltre a scoprire la musica di Debussy, di Dukas, di Ravel, o quella della scuola russa, entusiasmandosi per il Boris Godunov, nella rappresentazione organizzata dai “Ballets Russes”, Falla stabilisce, assieme a Turina e Albéniz, una sorta di patto per creare una musica puramente spagnola senza alcuna influenza straniera. Parigi è dunque la città che lo apre agli orizzonti della nuova musica europea, ma nel contempo è il luogo che lo riconduce alle sue origini iberiche, secondo quel movimento di oscillazione cui alludeva Malipiero nella citazione sopra ricordata.

Allo scoppio della guerra, nel 1914, Falla torna in patria e a Madrid, ove fissa la sua residenza, compone quei balletti che lo renderanno famoso in tutta Europa. El amor brujo dapprima come “gitaneria in un atto e due quadri”, scritto espressamente per la cantaora nonchè eccellente ballerina, Pastora Imperio, in una versione per orchestra da camera (1915), verrà rivisto un anno dopo per grande orchestra e messo in scena a Parigi nel 1925 con una nuova grande interprete “La Argentina”. La pantomima El corregidor y la molinera del 1917, ispirata alla novella di Alarcón, diventerà il celeberrimo Sombrero de tres picos, per “Les Ballets Russes” di Diaghilev con le scenografie di Picasso, a Londra nel 1919. Scrive anche la Fantasía bética per pianoforte, dal nome latino di Andalusia, e l'Homenaje per chitarra in memoria di Claude Debussy.

In queste opere Falla rivisita il ricco folclore andaluso, il vario patrimonio del cante flamenco, dall'incanto notturno e magico dei riti gitani dell'Amor brujo, alle atmosfere settecentesche della novella di Alarcón nel Sombrero, dalle trasfigurazioni pianistiche del rasgueado chitarristico della Fantasía, alle trasposizioni sulla chitarra delle raffinate armonie debussiane della Soirée dans Grenade. Ma curiosamente Falla visita la nativa e magica Andalusia dalla lontana e aspra Castiglia, a testimonianza ulteriore di quel significato ambivalente che per lui riveste il documento folcloristico, quasi mai frutto di una ricerca sul campo, come accade in Béla Bartók, quanto piuttosto immaginaria reinvenzione di un canto, ricerca di un linguaggio espressivo immediato ed estraneo ad ogni forma di evoluzione storica.

Nel settembre del 1920 si trasferisce definitivamente a Granada nel piccolo carmen dell'Antequeruela Alta, sulle pendici dell'Alhambra. Qui assieme a Federico García Lorca e Gerardo Diego organizza il concorso per il cante jondo nel giugno del 1922; scrive El retablo de Maese Pedro per teatro di marionette, rappresentato nel palazzo di M.me de Polignac a Parigi il 25 giugno 1923, Psyché per voce e strumenti (1925), ed il Concerto per clavicembalo (1923-26), quest'ultimo su incarico di Wanda Landowska. Il linguaggio di Falla si fa più asciutto, non è più l'Andalusia la sua fonte di ispirazione, quanto l'ormai lontana Castiglia, accanto a quel recupero dello strumentalismo settecentesco - Scarlatti soprattutto - che caratterizza l'orizzonte della musica europea negli anni Venti. Stravinskij così ricorda l'esecuzione londinese del Concerto e del Retablo, nel giugno 1927: “Durante questo soggiorno, ebbi la fortuna di assistere ad un bellissimo concerto dedicato all'opera di Manuel de Falla. Dirigeva lui stesso, con una precisione e con una nitidezza degne di tutti gli elogi, il suo notevole El retablo de Maese Pedro, cui partecipava la signora Vera Janacopulos. Ascoltai anche, con vero piacere, il suo Concerto per clavicembalo o pianoforte ad libitum, che eseguì personalmente su quest'ultimo strumento. Per conto mio, queste due opere segnano un progresso incontestabile nello sviluppo del suo grande talento, che si è quasi liberato risolutamente dall'impaccio folcloristico che rischiava di sminuirlo”.

Verso la fine del 1926 inizia a lavorare ad un ambizioso progetto, la cantata scenica Atlántida su testo tratto dall'omonimo peoma del catalano Jacinto Verdaguer; l'opera rimarrà incompiuta e lo accompagnerà costantemente per il resto della sua vita, sino alla morte avvenuta in Argentina nel 1946. Negli ultimi anni, lo stato di salute, le drammatiche vicende politiche sfociate nella guerra civile spagnola del 1936, diradano la produzione di Falla. Nel 1933 passa alcuni mesi invernali a Majorca e qui in omaggio a Chopin compone la Balada de Mallorca, adattando per coro a cappella l'Andantino della seconda Ballata di Chopin, su testo nuovamente del poeta catalano Verdaguer; a Chopin Falla si era ispirato già nel 1918 nell'opera teatrale, rimasta inedita, Fuego fatuo.

Nel 1935 per la morte dell'amico e maestro Paul Dukas scrive Pour le tombeau de Paul Dukas per pianoforte, apparso nel numero monografico de “La Revue Musicale” del 1936. Lo scoppio della guerra civile, la morte dell'amico Federico García Lorca per mano dei franchisti, le violenze sanguinose del conflitto mettono a dura prova la fibra del musicista; seppur fra grandi sofferenze non sa opporsi al franchismo che si era proposto come difensore di quei valori cattolici in cui Falla sin dalla giovinezza aveva profondamente creduto. Ma ormai ha deciso di lasciare la Spagna alla prima occasione e il 2 ottobre del 1939 si imbarca a Barcellona per recarsi a Buenos Aires per una serie di concerti, invitato dall'Istituto Spagnolo di Cultura; da questo viaggio non farà più ritorno. Falla porta con sé la partitura della sua ultima composizione sinfonica Homenajes, una suite di quattro brani dedicati a quattro musicisti legati a Falla: 1) Fanfare sobre el nombre de E. F. Arbós, scritta in occasione dei settant'anni del celebre violinista e direttore d'orchestra; 2) à Claude Debussy (Elegía de la guitarra), orchestrazione del precedente omaggio chitarristico; 3) à Paul Dukas (Spes vitae), orchestrazione dell'omaggio pianistico; 4) Pedrelliana, il più ampio movimento della suite ispirato a temi dell'opera mai rappresentata di Pedrell, suo grande maestro, La Celestina (1903). Falla dirigerà l'esecuzione di questo lavoro al Teatro Colón della capitale argentina nel novembre del 1939.

Si stabilirà poi nel 1941 ad Alta Gracia, nella provincia di Córdoba, passando gli ultimi giorni della sua vita curando le ‘Versiones espresivas’ di alcune pagine polifoniche di Tomás Luís de Victoria, e lavorando costantemente al suo più ambizioso progetto rimasto però incompiuto: Atlántida.
Morirà il 14 novembre del 1946.

(Paolo Pinamonti)


Tutto su Atlántida


Atlántida. Cantata scenica in un Prologo e 3 Parti sul poema di M.J. Verdaguer (adattato da M. de Falla - originale in catalano). Opera postuma completata da Ernesto Halffter. Versione ritmica italiana di Eugenio Montale.

1ª rappresentazione in versione scenica: Milano, Teatro alla Scala, 18 giugno 1962 - direttore Thomas Schippers
1ª esecuzione in forma concertistica (secondo una nuova revisione di Ernesto Halffter) - versione “Lucerna”: Lucerna, 9 settembre 1976 - direttore Jesús López Cobos
1ª rappresentazione (con l'aggiunta di 20' alla versione “Lucerna”) - versione “Madrid”: Madrid, Teatro Real, 20 maggio 1977 - direttore Rafael Frühbeck de Burgos

IL CORIFEO, br. -  PIRENE, c. - GERIONE, 2 t. e 1 br. - LA REGINA ISABELLA, s. - Il ragazzo, voce bianca - Ercole (Alcide), mimo - Le sette Pleiadi: Maia, s. - Aretusa, s. - Caleno, s. - Eriteia, ms. - Elettra, ms. - Esperetusa, c. - Alcione, c. - Una dama di corte, c. - Il gigante, br. - Il capo degli Atlantidi, t. - L'Arcangelo, t. e c. - Cristoforo Colombo, mimo - Un paggio, voce bianca 
Coro: uomini, donne, ragazzi e coro parlato 
Organico: 3 (III anche ott.).3 (III cor.i.).3 (III cl.b.).3 (III anche cfg.) / 4.4.3.3 (2 tu.t. e 1 tu.b.). / timp.
rag.  cast.  trg.  tmb.no  tmb.  c.r.  frst.  guiro  eolifono  3 bongos  t.-t.  p.  g.c.  glock. xyl.  vibr.  cmp.  cel.  2 a.  2 pf. / archi
Strumenti sul palco: 2 cor.  t-t.  timp.

Partitura (versione “Lucerna”) 
Riduzione per canto e pianoforte a cura di E. Halffter (versione “Lucerna”) 

Partitura (versione “Madrid”)
La versione “Madrid” differisce dalla versione “Lucerna” nella parte centrale che fu modificata e ampliata.

Libretto 


Prefazione alla versione di Lucerna


La versione chiamata “di Lucerna” viene a riempire un vuoto e a chiudere una lunga discussione sulla versione definitiva di questa opera postuma di Manuel de Falla, che per lunghi anni è rimasta fra il genere operistico e sinfonico e fra diverse versioni da concerto.

I miei primi contatti con Atlántida, come direttore d’orchestra, risalgono agli inizi del 1975, quando la Radio di Colonia mi parlò del desiderio di organizzare una versione di Atlántida in concerto. Io sapevo che Ricordi, Ernesto Halffter e gli eredi di Manuel de Falla, fin dal 1972, avevano in programma di realizzare una nuova versione di Atlántida, per darle una forma definitiva, più vicina all’oratorio che alla cantata scenica, poiché sotto quest’ultimo aspetto il lavoro non sembrava potersi aprire la strada che i suoi pregi musicali meritavano.

L’iniziativa della Radio di Colonia e il progetto di presentare l’opera al Festival di Lucerna nel 1976 mi indussero a rivolgermi a Ernesto Halffter. 

Nel 1975 e nel 1976 ebbi con Ernesto Halffter rapporti costanti, durante i quali imparai a conoscere e ad amare Atlántida, e al tempo stesso a comprenderne i numerosi problemi. Tali problemi traggono origine unicamente dalla condizione di incompiutezza in cui don Manuel lasciò quello che sarebbe stato il coronamento della sua opera di compositore. La meticolosità del maestro è ben nota a tutti. Colui che impiegò due anni per scrivere l’accompagnamento delle sue Siete canciones populares españolas avrebbe certamente avuto bisogno di molti anni per portar a termine Atlántida. E la salute precaria di don Manuel, negli ultimi anni della sua esistenza, non glielo consentì. Così Atlántida ci pervenne tronca.

Fin dal primo momento per me fu chiaro che la qualità fondamentale della versione definitiva doveva consistere nella massima approssimazione possibile a quanto don Manuel aveva lasciato scritto. In questo senso, il lavoro di Ernesto Halffter è stato enorme. Non si trattava soltanto di riordinare bozzetti o completare la strumentazione di pezzi scritti appena parzialmente. È noto che il piano originale di de Falla era esteso, e a questo cercò di adeguarsi Ernesto Halffter nella sua prima versione scenica, per la quale dovette creare scene complete. La decisione da prendere nel 1975 era di rielaborare questa prima versione e, senza disperdere l’essenza del poema e il suo filo narrativo, presentare un’Atlántida il più vicina possibile a quella che don Manuel ci lasciò scritta, alla sua morte. 

Il corpo centrale (la cosiddetta Parte Seconda, dopo il 1976) è quello lasciato più incompleto da de Falla: consiste soltanto di appunti sparsi. Sia il Prologo, orchestrato quasi totalmente da de Falla, sia le Parti Prima e Terza avevano raggiunto, alla morte del maestro, un grado avanzato di realizzazione (erano strumentate in parte, o almeno in piccola parte). L’inclusione del Prologo, della Parte Prima e della Parte Terza nella versione di Lucerna era quindi ovvia. E, esaminando i numeri della Parte Seconda rilevati in questa versione del 1976, si nota che sono sette, in confronto ai diciassette della versione rappresentata alla Scala nel 1962, o ai dodici della versione di Madrid del 1977. La versione di Madrid amplifica, inoltre, quattro dei numeri già esistenti nella versione di Lucerna. Di conseguenza, la versione di Lucerna è quella che più si avvicina, almeno quantitativamente, a ciò che de Falla lasciò scritto, nello stato di attuazione maggiormente avanzato. I sette numeri della Parte Seconda in essa raccolti assicurano la continuità del filo narrativo, e tolgono al lavoro quel carattere di frammento di cui avrebbe certamente sofferto, senza questa Parte Seconda.

D’altro canto, la decisione di Ernesto Halffter, in contrasto con quanto aveva fatto nella versione del 1962, cioè di uniformare la strumentazione delle Parti Prima, Seconda e Terza a quella del Prologo, per quanto concerne il piano strumentale, fu un successo assoluto.

È comprensibile che Ernesto Halffter, tutto preso dalla missione di completare Atlántida, abbia cercato di portar a termine nella sua totalità l’ambizioso piano del suo maestro. Ma, dopo aver conosciuto le diverse versioni dell’opera, mi sono totalmente convinto che quella del 1976 è la più adatta a far risorgere quest’Atlántida “sommersa”. In questa sta l’essenziale di Atlántida, e i valori musicali dell’opera meritano qualsiasi sforzo si faccia per farla conoscere in questa versione definitiva.

Jesús López Cobos
Losanna, novembre 1993